5 Settembre – XXIII Domenica del Tempo Ordinario
Da oggi il Gruppo liturgico ha ripreso la redazione e l’invio dei Semi della Parola. Dal 1 settembre al 4 ottobre i cristiani di tutto il mondo celebrano il Tempo del Creato; nelle 5 domeniche di questo periodo, insieme ai Semi della Parola, trovi un semplice percorso proposto dal Circolo Laudato si’ Pontedera Valdera. Buon cammino.
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29 Agosto – XXII Domenica del Tempo Ordinario
La Parola del giorno: Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27
Dal Vangelo secondo Marco (7,1-8.14-15.21-23) In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
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Nelle buone pratiche igieniche che gli scribi e i farisei usavano in ordine alla purità cultuale, Gesù individua un formalismo religioso che ritiene frutto di precetti di uomini e che, se fine a sé stessi, non costituiscono una rassicurazione circa la propria fedeltà al Dio dell’Alleanza. Al Padre che sta nei cieli non interessa l’igiene in sé, quanto piuttosto il nostro cuore, inteso come simbolo non solo della nostra affettività, ma anche e ancor più della nostra libertà di prendere decisioni esistenziali che orientino la vita verso di Lui. La polemica di Gesù con i farisei ci invita a far luce su eventuali nostre riduzioni del comandamento dell’amore di Dio e del prossimo a ciò che rientra più facilmente nei paradigmi culturali del nostro tempo. Gesù spiega alla folla che non è ciò che è fuori dall’uomo che, entrando in lui, può renderlo impuro. Al contrario, dal suo cuore “escono i propositi di male” che lo rendono impuro, cioè inadeguato ad accogliere la chiamata di Dio, alla pienezza della vita e della libertà in comunione con Lui. Con queste parole Gesù esalta il valore della coscienza, il livello più intimo della persona, in cui ciascuno di noi è sfidato ad ascoltare la voce di un Altro che gli parla e non la sua stessa voce. Infine, questo brano evangelico ci fa capire che non è la società che rende gli uomini migliori o peggiori; sono gli uomini, al contrario che, con le risorse dei loro talenti, della loro libertà e della loro volontà possono rendere il mondo migliore di come lo hanno trovato.
Sia fatta la tua volontà Signore, ora e sempre.
Ti ringraziamo sempre, o Signore, sia nelle avversità, sia nei momenti di gioia.
Fa’ che anche nella prova e nel dolore continuiamo a sperare in te,
nella vita eterna e nella risurrezione promessa.
Affidiamoci con fiducia al Creatore del cielo e della terra,
perché Lui sa cosa è bene per noi e ricompenserà la nostra fedeltà.
Sia fatta la tua volontà Signore, ora e sempre.
22 Agosto – XXI Domenica del Tempo Ordinario
La Parola del giorno: Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5,21-32
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,60-69) In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
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In un momento cruciale del cammino con i suoi discepoli, Gesù ha domandato loro: “Per voi, chi sono io?”. Pietro ha avuto il coraggio di dire: “Tu per me sei il Signore, ho creduto nella tua Parola, ho deciso di camminare con te”. E Pietro è rimasto fedele fino in fondo a questa sua scelta, a questa sua decisione di fidarsi di Gesù, di prendere sul serio la sua Parola, di camminare con Lui. Ecco, vedete, questa fede in Gesù, questo scegliere Lui, questo fidarsi del Signore, accomuna davanti a noi persone diverse, Pietro, ma anche Paolo. Pietro era un pescatore, un uomo che non aveva studiato, veniva da una famiglia povera, la sua vita si era svolta, fino all’incontro con Gesù, sulla riva del lago. Paolo invece era un intellettuale, aveva fatto l’università, aveva studiato nella scuola più prestigiosa del mondo ebraico, veniva da una famiglia ricca, era un uomo colto, aveva girato il mondo. Anche il carattere era diverso, anche la loro vita: Paolo ha corso per il mondo, spinto dall’ansia di testimoniare Gesù. Pietro invece è rimasto fermo a Gerusalemme, poi si è recato a Roma, il suo compito era più quello di mediare, di cercare di far andare d’accordo la prima comunità cristiana. Qualche volta, anche fra di loro, hanno litigato: Paolo dice in una delle sue lettere che ha dovuto resistere a Pietro, ha dovuto rimproverarlo apertamente, perché secondo lui sbagliava. Hanno avuto degli scontri, avevano idee diverse, caratteri diversi, ma hanno sempre conservato la fede nel cuore. Essa li univa profondamente, faceva loro superare le difficoltà e cercare insieme di costruire la Chiesa, di dare la stessa testimonianza delle cose essenziali: la fedeltà nel seguire il Signore Gesù, il coraggio di testimoniare la sua Parola. Noi veniamo quasi duemila anni dopo di loro e anche noi siamo diversi, ma dobbiamo pregare insieme perché la stessa fede ci unisca cosicché anche noi, come questi apostoli, possiamo avere il coraggio di credere in Gesù, di camminare con Lui, di combattere la buona battaglia, di conservare, fino in fondo, la fede.
Crediamo nella forza che la fede ci dà,
quella forza che riempie il nostro cuore di speranze,
quella forza che ci permette di superare le difficoltà,
quella forza che ci permette di camminare insieme e fare comunione,
quella forza che ci libera dal gelo della solitudine e ci riempie di gioia,
quella forza che ci permette di conservare, fino in fondo, la fede
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)
15 Agosto – Assunzione della B.V. Maria
La Parola del giorno: Ap 11,19a;12,1-6a.10ab; Sal 44; 1Cor 15,20-27a
Dal Vangelo secondo Luca (1,39-56) In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
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È un movimento fisico e insieme spirituale quello che porta Maria, «in fretta», sottolinea il testo, da Nazaret al piccolo villaggio di Ain-Karim, poco a ovest di Gerusalemme, per l’incontro con Elisabetta, primo dei due quadri di questo di Luca. Un movimento che prosegue dall’esterno verso l’interno, dentro la casa di Elisabetta, dove le due cugine condividono la gioia dell’attesa di un figlio. E subito in loro gli occhi e il cuore si spingono di nuovo verso l’esterno, si allargano a contemplare la vastità dell’azione del Signore: Elisabetta nel riconoscere la fiducia di Maria nel compimento della promessa di Dio, Maria nel ripercorrere la storia del popolo d’Israele, espressa nel Magnificat, secondo quadro del Vangelo di oggi. Anche nella nostra vita possiamo sperimentare spesso questa duplice dinamica: il nostro andare incontro all’altro può allargarsi ed essere compreso come parte di una storia di salvezza, perché il Signore ha sempre un progetto di bene per l’umanità e dai piccoli «sì» quotidiani di ognuno sa ricavare cose grandi. La promessa di Dio, che attraversa i secoli e che il Magnificat ci racconta, è la salvezza, la vittoria del bene sul male, dell’amore sull’odio, del perdono sull’offesa, della vita sulla morte. È la sua misericordia che “innalza”, “ricolma di beni” e “soccorre”. Questa promessa, sperimentata “di generazione in generazione”, passa ora attraverso i nostri cuori, le nostre menti, le nostre mani, che si aprono per incontrare profondamente l’altro, che percorre come noi le strade della terra.
Aiutaci, Signore,
ad avere fiducia nelle tue promesse,
a mettere il nostro «sì» nelle tue mani perché tu ne faccia cose grandi.
Donaci di riconoscere
il tuo agire nella storia dell’uomo
e di raccontare al mondo la tua fedeltà.
Dacci il coraggio degli umili «sì» del quotidiano,
perché sappiamo che tu ci ami e ci conduci.
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)
8 Agosto – XIX Domenica del Tempo Ordinario
La Parola del giorno: 1Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30 – 5,2
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,41-51) In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
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C’è qualcuno che mormora perché Gesù dice: «Io sono il pane disceso dal cielo». Come può dire: «Sono disceso dal cielo?». Noi sappiamo chi è, conosciamo le sue radici: viene “dalla terra”, cioè da noi, non “dal cielo”: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?». Ecco che ci viene presentato l’inganno di chi crede che per conoscere la realtà delle cose sia sufficiente affidarsi al solo orizzonte terreno e umano. A queste considerazioni, Gesù risponde: «Non mormorate tra voi». Egli ci esorta così a non rinchiuderci “tra noi”, dentro noi stessi, come quando i nostri discorsi iniziano da noi e finiscono con noi. Oggi purtroppo, spesso avviene che si va avanti nei rapporti, nelle scelte di vita, fino a quando sembra che ce la facciamo, ma poi accade che ci “incartiamo” dentro noi stessi e diciamo basta. In altre parole, di fronte alla realtà e alle nostre incapacità di risolvere i problemi, ci scopriamo limitati, e la tentazione è quella di mollare tutto… Gesù ci presenta un diverso modo di affrontare la nostra vita, che però solo il Padre può attivare: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre». Vale a dire che la soluzione alle nostre difficoltà non si trova in noi stessi, ma è fuori di noi, dai nostri schemi e dai nostri modi di pensare. Quindi, non è vero che non ci sono soluzioni ma, in realtà, per trovarle occorre “un di più”: abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore, di accogliere un cibo, un pane che dà forza per camminare nelle avversità. «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». Dobbiamo smettere allora di affrontare i problemi da soli, di credere di poterli risolvere solamente con le nostre forze. L’uomo non è fatto per il monologo, per la solitudine, ma per il dialogo, la relazione e la comunione di vita. Senza Dio e il prossimo non ce la possiamo fare. La capacità di andare avanti la dona il Padre. Da soli non ce la possiamo fare. Non “mormoriamo” tra noi e basta, apriamo la nostra prospettiva, nutriamoci del Pane che discende dal cielo.
Gesù, amico buono,
che ti doni a noi come vero cibo di vita eterna,
illuminaci con il tuo Santo Spirito,
affinché le scelte che facciamo
non ci portino mai per un cammino che non ha niente a che fare con te.
Desideriamo rinnovare la nostra amicizia con te,
per essere pienamente felici
secondo il disegno d’amore del Padre per noi. Amen.
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)
1 Agosto – XVIII Domenica del Tempo Ordinario
La Parola del giorno: Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,24-35) In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti, il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
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Gesù, come sempre, quando dialoga utilizza delle immagini note a tutti, dal profondo significato simbolico. Il pane: è il cibo per eccellenza, è sulle nostre tavole fin dall’antichità, è preparato con elementi semplici, con l’arte dell’impasto e della lievitazione. Gesù parte dal pane materiale, che sazia la fame del corpo, per arrivare al Pane, cibo di vita eterna che è Lui stesso. La folla non comprende l’invito di Gesù: «Datevi da fare non per il cibo che non dura ma per il cibo che rimane per la vita eterna…», e domanda subito: «che cosa dobbiamo compiere… quale opera fai…». Non c’è nulla da compiere, nulla da fare, nessun segno da attendere, se non credere nel Dio della vita. L’invito che Gesù rivolge alla folla a Cafarnao, che lo segue forse affamata, è l’invito dell’innamorato che non chiede prove d’amore, non compie segni particolari, ma desidera solo offrire in pienezza se stesso per il bene dell’amata. Chi è disposto a credere in questo amore folle e a vivere l’esperienza della fede e dell’abbandono, non avrà più bisogni materiali, né fame, né sete, perché l’amore sazia ogni necessità. Essere cristiani e vivere il Vangelo è semplicemente questo: abbracciare l’amore e lasciarsi invadere dalla tenerezza e dalla dolcezza di Dio, accogliere la vita come dono del Padre. Essere cristiani non è rispettare norme, seguire regole e precetti; non è neppure soltanto conoscere la dottrina e recitare preghiere, bensì è fare esperienza del Dio dell’amore e accoglierlo nella libertà. È sentirsi accolti e abbracciati dal Padre misericordioso, che ci perdona e ci rigenera anche quando siamo solo preoccupati del cibo materiale.
Rabbì, quando sei venuto qui?
Noi ti abbiamo cercato altrove…
Noi ti abbiamo cercato fra i libri di preghiere, fra i precetti che ci danno sicurezza.
Ma tu eri già sull’altra sponda,
pronto a incontrarci e a parlare con noi di eternità.
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)
25 Luglio – XVII Domenica del Tempo Ordinario
La Parola del giorno: 2Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,1-15) In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
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Il nostro Dio è il Dio dell’abbondanza! Non ha misure, non ama il calcolo o la parsimonia; è il Dio della generosità e della tenerezza; è l’opposto di Filippo che pensa al denaro da spendere per un numero elevatissimo di persone. Gesù sa già cosa sta per compiere, ma prende tempo e interpella Andrea che, a sua volta, coinvolge un ragazzo con una cesta di cinque pani e due pesci. Anche in questo è il Dio dell’abbondanza, un Dio che ha sempre bisogno dell’uomo, che sa trasformare la piccolezza e le debolezze umane in occasioni preziose di annuncio e di salvezza. Gesù vede la folla avvicinarsi e subito si preoccupa di sfamarla, di saziare la sua fame, fame di cibo e di benessere. Colpisce a tal proposito un particolare: «C’era molta erba in quel luogo», come se Gesù fosse anche preoccupato della comodità del luogo, scelto per l’abbondanza di erba, dove la folla potesse sedersi. Nessun elemento viene tralasciato affinché tutti possano comodamente mangiare e stare con Lui. Infine, le dodici ceste avanzate e raccolte per evitare sprechi, immagine della sovrabbondanza e della preziosità del dono di Dio. Che cosa ci insegna questo miracolo? Dio non opera nella nostra vita con potenza e con gesti straordinari. Dio ci interpella, ci chiede di aprire la nostra bisaccia, di mostrare ciò che abbiamo, ciò che siamo, ci propone di tirar fuori tutto, di metterci in gioco, di rinunciare ai nostri calcoli, alla nostra fame individuale, di fidarci solo del suo amore, senza sprecare nulla. Allora potremo conoscere il Dio dell’abbondanza e raccogliere ceste di quanto è avanzato.
Lascia, o Signore,
che io ti doni i miei cinque pani e due pesci,
così che tu possa sfamare la folla.
Trasforma il mio egoismo,
i miei affanni superflui,
le mie ansie futili
in gesti di generosità, di donazione, d’amore.
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)
18 Luglio – XVI Domenica del Tempo Ordinario
La Parola del giorno: Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18
Dal Vangelo secondo Marco (6,30-34)
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
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Gli apostoli, dopo la loro missione, tornano da Gesù e raccontano tutto ciò che hanno fatto. È già sera, ma sono ugualmente desiderosi di comunicare come hanno annunciato la buona novella alle persone incontrate lungo la via, come hanno predicato l’amore e la fratellanza. Grande è la gioia manifestata che promana dalla missione compiuta. Avere il coraggio di uscire da sé stessi, andare verso le periferie del mondo per testimoniare la gioia dell’incontro con Gesù, comunicare la sua Parola e la sua misericordia dà una grande gioia e insieme una profonda pace interiore. Ma tutto ciò non basta! Infatti, la gioia che deriva da un compito assolto deve essere sempre consolidata. Gli strumenti sono la parola di Gesù che dà forza e vigore, cambia le persone, guarisce e salva dal male. Ecco allora perché a Gesù non basta che gli apostoli gli riferiscano che tutto è andato bene, e quindi dice loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi un po’!». Quel “venite in disparte” sollecita da parte di Gesù un momento di silenzio, di ascolto e di comunità.
La Chiesa offre tante possibilità di “stare con Gesù”, ovvero di ascoltare, meditare e offrirsi agli altri. Tante possono essere le circostanze che implicano e determinano una caduta, ma altrettante sono le occasioni che determinano un cambiamento di vita. Questo versetto del Vangelo: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose», può proprio indicarci che soltanto quelli che si metteranno alla sequela di Gesù, avranno il pane necessario (l’Eucaristia) per sfamare i tanti bisogni e sopportare le sofferenze di questo mondo, altrimenti resteranno smarriti e privi di risposte.
Non c’è amore più grande
di chi dà la vita
per la persona che ama (Gv 15,13).
O Spirito Santo,
vieni nel mio cuore,
riscaldalo!
Infiammalo!
(Santa Caterina da Siena)
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)
11 Luglio – XV Domenica del Tempo Ordinario
Dal Vangelo secondo Marco (6,7-13)
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
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Il passaggio di Gesù a Nazaret, tra la sua gente segna uno spartiacque nella predicazione e nella sua missione. Rifiutato dai “suoi” che si scandalizzavano di Lui, comincia a percorrere i villaggi della Galilea, allargando la missione e intensificando l’annuncio. L’inizio di questo nuovo periodo del ministero di gesù coincide con quello in cui Egli condivide la sua predicazione e la sua attività “terapeutica” con i Dodici.
Marco presenta la loro missione come estensione dello stesso ministero di Gesù di insegnare e di guarire. La stessa mancanza di comodità materiali durante il viaggio riflette l’urgenza dei compiti dei discepoli e la fiducia in Dio che essa richiede.
Nessuna sicurezza economica: nient’altro “oltre il bastone”. I Dodici sono inviati come “missionari itineranti”, totalmente dipendenti dall’ospitalità locale. Un ordine preciso che comporta una “spoliazione” totale e una “totale” dipendenza affidata alla generosità altrui, ma anche l’accettazione del rifiuto e dell’indifferenza altrui.
Quando all’umiltà del missionario itinerante la comunità risponde negativamente, ai discepoli viene suggerito di compiere soltanto un’azione simbolica (“andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi”) al fine di provocare una riflessione tra la gente del luogo. Allora i Dodici partono, inviati a scacciare i demoni, ungere di olio gli infermi, guarire gli ammalati e, con queste azioni, si associano alla missione di Gesù.
Questo brano evangelico ci ammonisce circa il peccato della superbia, quando presumiamo troppo di noi stessi tanto da non sentirci bisognosi di perdono e di misericordia. Perchè proprio il riconoscimento della nostra povertà umana, ci rende, invece, capaci di gesti concreti di accoglienza e di carità.
Partire liberi e alleggeriti
Gesù, mi metto alla tua sequela,
portando con me soltanto
la miseria del mio povero essere.
Mi espongo all’indifferenza di chi mi guarda,
e mi affido alla necessità del mio andare.
Sono io, Signore, che,
dotato soltanto del bastone della fede,
busso alla tua porta.
Apri, o Signore,
perché il mio andare si è fatto stanco.
(da: “Servire e dare la propria vita”, Azione Cattolica 2020-2021)